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Esercizi di dilatazione musicali

Esercizi di dilatazione

Così come storie possono essere ispirate da disegni. Così disegni, e storie, possono essere ispirate dalla musica, e viceversa.

Costruire immagini e storie a partire della musica non è una trovata nuova. Chi non ha visto Fantasia della Disney? Ma sarebbe interessante fare gli stessi esercizi di dilatazione anzichè con le immagini, con la musica.

Scrivendo spesso con la musica di sottofondo, mi accorgo che mi influenza, specie ritmicamente. Quando la tensione della musica sale, anche la tensione narrativa sale. Quando la musica ispira certe sensazione, quelle sensazione finiscono sulla pagina. E’ buffo, anche se penso funzioni solo perchè scrivo di getto, senza quasi preparazione. D’altronde gli esercizi di dilatazione funzionano proprio così, niente preparazione, buttar giù quel che viene in mente e basta.

Ho fatto un tentativo con gli esercizi di dilatazione visiva ed è stato interessante, ripeterò sicuramente con un’altra immagine e probabilmente scriverò un articolo sul risultato che ho ottenuto, ma mi piacerebbe provare questo esercizio anche con la musica. Certi generi musicali, e certi brani in particolare, ispirano moltissimo.

In fondo con Fantasia è venuta fuori una gran figata e Allegro ma non troppo, parodia italiana che per certi versi supera l’originale, per altri no, ha qualcosa di geniale.

Notte sul monte calvo, di Modest Mussorgsky nell’interpretazione disneyana Brrr!

Da Allegro non troppo con i disegni di Bozzetto, un Bolero di Ravel in chiave evolutiva. (la qualità audio non è gran che, ma è l’unica versione che ho trovato tutta intera)

Sempre da Allegro non troppo il Valse triste di Jean Sibelius, un pezzo che non riesco a vedere senza piangere. Non che io faccia testo, sono una piagnona, ma è… mamma mia… la musica è triste, ma le immagini…

Uuu! Fazzoletto…

Adesso vi tiro su. Vivaldi, Concerto in Re maggiore.

Ahahahha!

Certe musiche sono state scritte apposta per accompagnare una storia. Non solo musical o opera, ma anche balletti, come La bella addormentata del bosco di Tchaikovsky, le cui musiche sono state tra l’altro usate a piene mani nel cartone della Disney; cavolo, vale la pena vedere quel cartone anche solo per la colonna sonora! Certe musiche ispirano per il loro particolare temperamento, la musica di Wagner per esempio è molto, molto epic fantasy, si ispira a leggende e fiabe nordiche. Poi c’è la cosiddetta musica a programma, vale a dire musica che racconta una storia. Il poema sinfonico La Moldava di Smetana è la storia di un fiume, la Moldava (che guarda caso sta in Moldavia), dalla sorgente al mare passando attraverso villaggi e cascate. Le Quattro stagioni di Vivaldi sono l’esempio più famoso di musica descrittiva. Poi c’è musica che pur non essendo descrittiva è ispirata ad ambienti specifici, come la Sinfonia “Pastorale” di Beethoven. Tra l’altro, sia le quattro stagioni che la pastorale contengono bellissimi temporali.

Terzo e ultimo movimento dell’estate. Dove altro poteva stare il temporale?

Che brrrrividi!

Quarto (e quinto) movimento della Sesta sinfonia “Pastorale”. Salta fuori persino il vento che soffia. Anche quelli della Disney l’hanno sentito.

Ah, bellissimo. Esiste una trascrizione per piano solo di Listz di questa, come di tutte le altre sinfonie. Che rabbia che sia troppo difficile per me.

Per questi esercizi di dilatazione stavo pensando a un movimento della terza sinfonia di Glière, una sinfonia abnorme, dura tipo un’ora e venti minuti, stile molto steppa russa. Pensavo alla Follia di Vivaldi, non perchè mi ispiri una storia, ma perchè mi piace alla follia. Pensavo a Scarbo di Ravel, di cui ho trovato una bellissima interpretazione di Argerich, parecchio inquitante e aggressiva. E sto pensando ai Pink Floyd, qualcosa che non contenga parole. Vedremo.

IMSLP – spartiti

Segnalo il sito-miniera-d’oro per chi cerca spartiti, gratuiti naturalmente. IMSLP (International Music Score Library Project).

Come tutti sanno fin dalla nascita ci sono delle leggi sul copyright, le leggi sul copyright vanno rispettate, è come rubare, stanne fuori. Sì, certo. Che si rispettino o meno, che si ritenga che siano giuste o meno, che favoriscano la cultura o le tasche delle case discografiche, le leggi sul copyright hanno la sgradevole conseguenza di rendere i documenti di difficile reperibilità, o di far spendere somme che non si è disposti, o non si è in grado, di spendere.

Ma  per gli amanti della musica classica, quella musica vecchia e sciapita che non si fila più nessuno, poveri idioti, c’è la buona notizia: i diritti di copyright sono scaduti. In Europa i diritti di copyright scadono dopo 70 anni della morte dell’autore, fate i conti e scoprirete che grandissima parte del repertorio classico è di libero dominio.

Un po’ come il progetto Gutemberg fa per i libri di autori morti e sepolti, così IMSLP fa per gli spartiti di musica. Se il vostro autore è morto da più di 70 non avete problemi di nessun genere (Rachmaninoff stiamo arrivando). C’è da dire che paesi diversi hanno leggi sul copyright diversi. Per esempio in Canada i diritti d’autore scadono dopo 50 anni dalla morte e negli Usa gran parte di ciò che è stato pubblicato prima del ’61 è libero. Regole sul public domain. Per cui se volete scaricare un preludio di Rachmaninoff, lo potete fare se siete in Canada, ma non lo potete fare se siete in Europa. A vostra discrezione scegliere in che punto del globo essere.

Ho sprecato fin troppe parole sul copyright. Il sito contiene una quantità abnorme di spartiti. Si trova praticamente di tutto. Ero disperata con un valzer di Chopin postumo che evidentemente non si fila nessuno, qui l’ho trovato. Trovate anche le trascrizioni per strumenti diversi dall’originale, per il pianoforte brani e trascrizioni a 4 mani, per due pianoforti e quant’altro.

Per il numero e la complessità di classificazione dei brani non è sempre facile trovare quello che cercate, ma perseverate. Io di solito cerco prima per autore, poi vado a cercare il pezzo, dopodichè cerco la versione che mi garba di più, se ce n’è più d’una. Assicuratevi di sapere il nome del brano. Se cercate “La tempesta” di Beethoven non la troverete. Se cercate la Sonata n. 17 per pianoforte op. 31 n.2 in re minore la beccate senza problemi.

La bottega del pianoforte

Titolo italiano: La bottega del pianoforte

Titolo origiale: The Piano Shop on the Left Bank

Autore: Thad Carhart

Anno: 2000

Lo scrittore, un giornalista americano trasferitosi a Parigi, narra il suo rapporto e la riscoperta della sua passione per il pianoforte. Un giorno, tornando a casa dopo aver accompagnato la figlia a scuola, nota nel quartiere parigino dove si è trasferito un negozietto polveroso con in vetrina parti di ricambio per pianoforti. Attirato senza saperlo dai ricordi della sua passione giovanile per il pianoforte entra a vedere e a chiedere informazioni. Entra nel mondo e nella mentalita parigina: nel negozio non c’è l’ombra di un pianoforte e il padrone, richiudendosi alle spalle la porta del retrobottega, la ricaccia cordialmente in strada senza rispondere a una singola domanda. Il fascino del pianoforte, come strumento, come mobile e come passione, è nascosto lì, nel retrobottega.

A parte rari capitoli, tipo quello in cui l’autore visita la fabbria dei Fazioli a Sacile, tutto il romanzo è ambientato a Parigi. La fauna del posto è gioca una parte importante nel godimeno del romanzo e vale di per sé la lettura; se siete innamorati di Parigi lo do per certo. Ma il protagonista è il pianoforte.

Ma… e’ il vecchio de Il vecchio e il mare!

Il problema con i romanzi che parlano di musica, come di altre forme di comunicazione, è che non possono esprimerla se non in parole e finiscono per perdere per strada la magia. Questo libro però non parla di musica se non indirettamente: parla del rapporto con il pianoforte, delle emozioni che vorticano intorno a un oggetto che in fondo non che è un insieme di legno e metallo, con qualche chiodo e un po’ di feltro.

Chi lo ama sa che il pianoforte può diventare ben più di un pezzo di mobilia o di un mastodonte a tre gambe per produrre suoni. È come se avesse una personalità, dei sentimenti. Ti risponde, gioca con te, ti prende in giro e ti fa i dispetti, ma quando tutto funziona e tu riesci  tenerlo sotto le dita diventa un’estensione di te e vibra all’unisono con te fino alle ossa.

In un periodo in cui non avevo tempo i suonare, mi sembrava un tradimento lasciarlo muto, che per un pianoforte equivale alla solitudine a al letargo forzato. Quando gli passo vicino accarezzo sempre i tasti, per salutarlo. Mi viene il magone anche solo a pensare di perderlo. E non prendetemi per matta, il fascino del pianoforte sta qui.

Questo romanzo centra esattamente il punto. Il pianoforte ha una vita sua propria, dalla nascita in una fabbrica dove l’artigiano lascia il suo nome scritto sulla cassa armonica dove non può essere visto, ai passaggi di mano, al momento in cui la persona giusta incontra il pianoforte giusto, il “suo” pianoforte, al momento in cui invecchia e, alla fine, deve morire.

Il tono del romanzo oscilla tra il commovente e l’esilarante. Ha una struttura episodica, tanto che vari capitoli si potrebbero leggere isolati dagli altri. Alcuni sono intimi, ricordi legati al pianoforte di quando l’autore era bambino, altri sono tra il surreale e il comico, come quello in cui l’autore, che si è appena coprato un pianoforte a mezzacoda (del peso di minimo minimo 200 kg), se lo vede recapitare a casa: un uomo solo se lo carica sulle spalle e se lo tira su per le scale schiacciato sotto il peso, rosso in faccia, trattenendo il fiato, l’imbragatura di cuoio con cui è legato al pianoforte che gli si pianta nella pelle, e lui, l’autore se ne sta in piedi in cima alle scale imminandosi il disastro se l’uomo avesse perso l’equilibrio. Non mancano momenti tecnici accenni di storia.

Insomma, se vi piace il pianoforte dovete leggerlo, se amate Parigi anche. Oltretutto è anche scritto bene.

In italiano l’ho trovato solo in versione cartaca, mentre in inglese esiste anche in ebook.

Dies Irae – tema

Il Dies Irae è un inno in latino che si pensa scritto da tale frate francescano Tommaso da Celano, vissuto nella prima metà del 1200. Il canto gregoriano che contiene quest’inno ha fatto parte della messa del rito romano fino al 1970.

Ecco il tema del Dies Irae:

[Per chi non fosse minimamente pratico della notazione musicale: si legge da sinistra a destra, ogni pallino corrisponde a una nota, quindi a un suono, e più una nota è scritta in alto nel pentagramma (le cinque linee orizzontali in cui sono inserite le note) più è acuta, più è scritta in basso, più ha un suono grave.]

Ecco come il tema del Dies Irae suona nel canto gregoriano, quindi come è “l’originale”.

Sì, molto allegro. Il Dies Irae è il Giorno del Giudizio. Il giorno in cui Dio scende sulla terra e perde le staffe.

Il tema ha avuto fortuna anche al di fuori della musica sacra ed è stato ripreso più e più volte. Non mi metto a sproloquiare sui singoli compositori, se volete saperne di più hanno inventato wikipedia apposta.

Questo è un frammento della Symphonie Fantastique di Berlioz (composta nel 1830). Un frammento del quinto e ultimo movimento, dove compare il tema. A 0,36.

Complichiamo un po’ le cose. La Danza macabra di Camille Saint Saens (1873). Tutto comincia con l’arpa che scandisce i dodici rintocchi della mezzanotte. Nella notte compare la morte, impersonata dal primo violino. La morte canta la sua melodia, è il richiamo per gli spiriti che si riuniscono e “danzano”. Il richiamo della morte comincia con un accordo particolare. È un accordo di quinta diminuita, che era soprannominato l’accordo del diavolo (ascoltate e capirete perché, oppure andate alla tastiera e fate ad esempio do e fa# insieme e contate i peli che vi si rizzano in testa), nella musica per la Chiesa era vietato. Il primo spirito che esce dalla tomba è un flauto traverso, che intona anche il primo tema. Risponde l’orchestra intera, mentre altri spiriti si aggiungono al primo. Il secondo tema è del primo violino.

Il tema del Dies Irae, che un po’ somiglia al secondo tema della Danza macabra, compare più avanti come citazione. Sono i fiati al minuto 2,26. Non è facile riconoscerlo perché è in tonalità maggiore e il ritmo cambia un po’, ma è lui.

La danza macabra è stata strascritta da Liszt (dio l’abbia in gloria) per pianoforte solo.

Il Dies Irae è al minuto 4,02 dove c’è “un poco più animato”. Qui si riconosce meglio e potete vederlo sullo spartito.

Adesso che l’avete nelle orecchie, la Sinfonia n. 103 di Haydn (fine ‘700). Le prime quattro note dei contrabbassi e violoncelli sono le stesse prime quattro del Dies Irae, riprese poi anche da altri strumenti.

Shostakovich, Sinfonia n. 14 decimo movimento (Der Tod des Dichters). Composta nel ‘69. [n.b. Se patite di depressione lasciate stare! L’intera sinfonia è un istigazione al suicidio.]

Mamma mia, quant’è inquietante…

Un altro: Sweeny Todd, il musical da cui è stato poi tratto il film con Johnny Depp. Nel musical il tema del Dies Irae è nella Ballata iniziale, nel film invece mi pare che la Ballata non ci sia.

Non potete non averlo sentito… o,59

Chiudo con la Totentanz di Liszt. Rifatevi le orecchie.

Totentanz – Liszt

Già la prima cadenza mi impensierisce...

Il linguaggio è una convenzione. Si impara una lingua da piccini e da piccini di impara a scriverla. Anche la musica è un linguaggio, ha le sue convenzioni e la sua grammatica. Se si guarda uno spartito musicale non è difficile a colpo d’occhio identificare i paragrafi, le frasi, i respiri. Ci sono le parti del discorso, c’è una sintassi e un ricchissimo sistema di punteggiatura. La musica è una lingua, ma ha una caratteristica che nessun altra lingua strutturata ha: è universale.

Mi ripropongo di cercare saggi e ricerche su questo campo. Però è chiaro che, come nella narrativa, anche in musica la mente cerca un ordine, una simmetria, un equilibrio. Così come la tensione in una storia è data dall’antagonista che piomba sul campo a rovinare la tranquillità del protagonista, così in musica è la dissonanza e il rapporto tra i toni a esigere una risoluzione e il ritorno a una situazione di equilibrio. Il ritmo è probabilmente un’elaborazione dei ritmi interni del corpo, del battito del cuore per esempio. Tanto che il senso del ritmo è innato a tutti, sordi alla nascita compresi.

IL COMPOSITORE

Franz Liszt (1811 – 1886), ungherese, di cui si è festeggiato il duecentenario dalla nascita l’ottobre scorso e che visse ben 75 anni, che per l’epoca non eran pochi, fu uno dei più grandi pianisti e compositori non solo dell’ottocento.

Liszt incartapecorito

Il nostro Franz scrisse una maratonda di note tra brani originali, per pianoforte ma non solo, e trascrizioni per pianoforte sia di altre sue opere che di opere altrui. Uno dei più grandi meriti di Liszt fu quello di far conoscere la musica ad un pubblico più ampio e quello di far riscoprire a quel pubblico opere e autori che rischiavano di cadere immeritatamente nel dimenticatoio. Franz Schubert per esempio, che visse povero in canna e morì a trent’un anni, forse di sifilide, o per intossicazione da mercurio (che era la cura d’allora per la sifilide). Le trascrizioni per pianoforte che fece Liszt sia dei suoi lavori che di quelli di altri servivano a uno scopo pratico. In molte località, specie piccole città o villaggi, era difficile procurarsi un’orchestra per eseguire concerti o sinfonie. Magari non c’erano tutti gli strumenti, o non c’erano abbastanza persone in grado di suonare, e far venire un’orchestra da fuori era costoso, servivano saloni grandi, eccetera eccetera. Lo stesso brano trascritto per pianoforte solo era invece un’altra faccenda: con un unico strumento, un unico musicista e un costo e uno spazio ridotto si risolveva il problema.

La Totentanz è in originale per pianoforte e orchestra, poi trascritta da Liszt anche per pianoforte solo. Per chi non sapesse il tedesco, Totentanz significa danza della morte o danza macabra.

Listz era un po’ fissato con queste cose. La morte gli titillava l’estro creativo e la tendenza alla religiosità. Si fece persino abate e ricevette e gli ordini minori. Comunque questo fervore non impedì affatto al nostro Liszt di far cadere le donzelle a dozzine fra le sue braccia e di avere relazioni con nobildonne sposate, e ciò prova inconfutabilmente che non era del tutto rincoglionito (e se ancora ci fossero dubbi ascoltare il video). Il fatto di essere un funambolo del piano certo lo aiutava nelle conquiste. Immaginatevelo, con quarant’anni e qualche verruca di meno, tutto vestito di nero, da solo al pianoforte, circondato dalla luce soffusa dei candelabri, tutti in silenzio in ascolto, e le acclamazioni pubbliche… certo che poi le giovinette strette nei corsetti svenivano…

Andiamo già meglio, manine sante

IL BRANO

La Totentanz è una parafrasi sul Dies Irae. Il Dies Irae è un tema (un motivo musicale) di origine medievale che molti compositori hanno ripreso nel corso del tempo tempo. Si tratta di un canto gregoriano, musica sacra. Dies Irae, per chi non sapesse il latino, non è altro che il giorno del giudizio. La Totentanz è strutturata come un brano a “variazioni”. Una brano a variazioni è un pezzo musicale che prende un motivo (il tema), lo mostra all’inizio semplice semplice e poi lo ripete variandolo ogni volta in un modo diverso. Esempi sono le Variazioni su un tema di Paganini di Brahms, La campanella sempre di Liszt, oppure il primo movimento della Sonata No. 11 in la maggiore, K 331, quella con la celeberrissimo “rondò alla turca”, di Mozart. Ce n’è a bizzeffe.

Il tema del Dies Irae lo sentite subito a 0,08, ma è ripetuto di continuo in un modo o in un altro. La partenza con il pianoforte usato quasi come strumento a percussione (in un certo senso lo è) è una delle sperimentazioni che questo brano si porta dietro. Ma si sentono anche rimandi all’origine medievale del Dies Irae, a 4,08 per esempio.

L’altro genio è la bionda ucraina che siede alla tastiera, Valentina Lisitsa. Non ho ascoltato tutte le versioni si capisce, ma questa! Questa non riesco a fare a meno di riascoltarla e riascoltrla e riascoltarla… E allora tirate fuori le ultra cuffie, o attaccate lo stereo, e alzate il volume. Schermo intero perché anche gli occhi vogliono la loro arte.

Brrrr… ciò i brrrrividi

Consiglio vivamente di fare un salto sul canale di Valentina Lisitsa per qualche altra nota.

Per chi se lo volesse ascoltare e leggere insieme:

Sì, il finale lei lo fa diverso. Penso sia per renderlo più simile alla versione con l’orchestra, io lo preferisco così. Comunque se ci fate caso ci sono altre discrepanze con lo spartito, tipo note legate che lei ribatte, piuttosto che note scritte all’unisono che invece lei alterna.