La 41esima regola per scrivere bene di Umberto Eco

Girando per l’Internet continuo a trovare le “40 regole di Eco” tratte da La bustina di Minerva, e visto che assomigliano alle regole per scrivere di questo celeberrimo manuale sullo stile, le riporto anch’io.

Queste regole evidentemente non sono nate per la sola narrativa, ma per la scrittura in genere, per cui alcune non si applicano alle lettera. Io mi rifaccio sempre alla scrittura per la narrativa.

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

Non so perchè questa regola stia per prima. Perchè Allitterazione comincia con la A? Evitare le allitterazioni è una buona regola, e per un motivo preciso: spostano l’attenzione del lettore dalla storia, dove dovrebbe stare, alla scrittura stessa, che in sè è solo un mezzo. Vedi il principio di scrittura trasparente.

2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

Dove vai se la grammatica non ce l’hai?

In narrativa la grammatica è: ciò che se non c’è non vale neppure la pena continuare a parlare. Con un’eccezione però. Errori grammaticali hanno un perchè quando messi in bocca a personaggi di basso livello culturale. Nessuno si aspetta che la casalinga di Voghera con la terza elementare usi i congiuntivi. Farglieli usare correttamente sarebbe un errore.

3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

Sante parole! Le frasi fatte fanno cadere le unghie dei piedi. A meno che, di nuovo, non sia un personaggio a parlare così e vengano usate a fini ironici… e comunque, ricordatevi che non ci sono più le mezze stagioni.

4. Esprimiti siccome ti nutri.

Ottimo consiglio.

5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

Disturbano anche me. In particolare gli americani hanno come sport nazionale l’invenzione di sigle, pare li disturbi enormemente chiamare le cose con il nome per intero.  Va bene CIA, ma certe volte pare parlino in codice.

6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

Vero. Nella scrittura per la narrazione le parentesi raramente si usano. Anche perchè, quando ben serve fare un inciso, basta piazzare due virgole al posto giusto.

7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.

Ah, i puntini… stramaledetti puntini… come tutti segni di interpunzione usati… alla cavolo!!! Che è mica questo il modo di scrivere????? I puntini di sospensione, così come i punti esclamativi, vanno usati con attenzione. Quando sono troppi è segno che lo scrittore stesso… insomma… non è che sappia esattamente…

8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.

Stesso discorso del punto 7, non sovraccaricare il testo di segni inutili. A parte quando le virgolette indicano un dialogo, si capisce.

9. Non generalizzare mai.

Questa regola è così generale che non capisco bene cosa voglia dire. Pare essere anche molto esplicativa. Da un punto di vista raccontato non si capisce, da un punto di vista mostrato invece sì. Capisco ma non capisco, mmm…

10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.

Eco, ti bacerei sulla fronte.

11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu”.

Spero a nessuno venga in mente di imbottire un romanzo di citazioni.

12. I paragoni sono come le frasi fatte.

Non direi che i paragoni siano minestra riscaldata, dipende dal paragone. E’ vero però che rischiano di essere banali e raccontati. Le similitudini, che sono una forma di paragone, se usate bene possono invece risolvere la situazione, non le eliminerei certo dall’equipaggiamento dello scrittore.

13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

Un altro bacio in fronte. Mai annacquare il vino.

14. Solo gli stronzi usano parole volgari.

Non è vero. Anche chi è incazzato, chi si è appena preso una martellata sulle dita, chi non è stato educato a badare alla lingua, chi non ha voglia o interesse a mostrarsi perbene, chi guarda una partita di calcio con gli amici e vince la squadra sbagliata, chi si trova in un contesto dove la volgarità non stona.

Sono contraria alla categoricizzare le parole come “buone” e “cattive”. Le parole volgari fanno parte del vocabolario come tutte le altre, e come tutte le altre vanno usate nel modo e nel momento giusto. L’unico metro di giudizio che si può dare sulle parole è la loro efficacia, e in questo senso stronzo è molto più bella di categoricizzare.

Detto questo, le volgarità scritte hanno un peso maggiore delle volgarità parlate. E’ bene andarci cauti con le parolacce.

15. Sii sempre più o meno specifico.

Bacio con schiocco questa volta.

16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.

Eheh, grazie Eco per la sottigliezza. Questa regola cade sotto “non negare per affermare”, “non usare più parole del necessario”. Discorso a parte se c’è un’intenzione ironica.

17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

Le frasi con una parola sola hanno una ritmica particolare che di rado ha un senso usare, ma arrivano momenti in una narrazione dove serve proprio quel ritmo. Non c’è nessun motivo pratico per eliminarle del tutto.

18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

La regola è “una metafora deve aiutare il lettore, non incasinargli il cervello”. Una metafora eccessiva più probabilmente incasina il cervello, come lo fanno metafore fuori tono o inutili.

19. Metti, le virgole, al posto giusto.

Dove vuoi andare se la punteggiatura non ce l’hai?

20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

Vedi punto 19.

21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.

Non capisco se vuole dire di non usare il dialetto o se vuole dire di non usare il dialetto anche se l’italiano non lo sai. Comunque sia, è chiaro che il dialetto va usato solo se si ha un buon motivo e solo se lo si sa gestire.

22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.

Vedi punto 18.

23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?

No, no, e poi ancora no. Sono paro paro alle frasi fatte. (Ooops, ho fatto un paragone!)

24. Sii coinciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe – o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento – affinchè il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

Sorvolo sul “potere dei media” e rimando al punto 13.

25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

E qui si ringrazia la Ciurma della Crusca.

26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

Vedi punto 2.

27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

Vedi punto 7 e punto 13.

28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

Che odio le esse plurali inglesi in italiano! mamma mia… o parli in italiano o parli in inglese, vanno bene entrambe per me, ma scegli! Hai usato un termine straniero, ma che bravo, e ci hai pure fatto il plurale, ma complimenti al gegnio!

29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

Fai che scriverle giuste tutte le parole, va’.

30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.

Altro bacio in fronte. E questa stravale anche per la narrativa. I nomi dei personaggi sono trasparenti, usateli. State scrivendo un romanzo, non le parole crociate.

31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

Eheh. Beh, questa sta sotto il “non prendere per il culo il lettore”.

32. Cura puntigliosamente l’ortograffia.

Vedi punto 30. Gli errori di battitura scappano sempre, ma limitarli in numero è un obiettivo perseguibile.

33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

Stucchevole, stucchevole. Tanto più in una narrazione, dove una preterizione, a meno che non sia pronunciata da un personaggio o da un narratore in prima, presuppone che l’autore sia entrato a viva forza nella storia, il che è una delle peggiori bestemmie in narrativa.

34. Non andare troppo sovente a capo.
Almeno, non quando non serve.

Bisogna andare a capo al momento giusto. E il momento giusto cambia a seconda del ritmo della narrazione, sovente o non sovente che sia.

35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

Vedi punto 33.

36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

Questa non è scrittura, questa è logica. Questa regola vale sempre. Che si scriva, si parli o si ribollisca fra sè come una pentola di ceci. (Tre congiuntivi sulle tre coniugazioni, mi sento realizzata).

37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

Ovvia conseguenza pratica del punto 36.

38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonchè deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.

Aahahahh, eh ehm. Alla faccia della scrittura trasparente.

39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

Certo. Anche se vista la logorroicità media mi sa che non si corre il rischio.

40. Una frase compiuta deve avere.

Vedi punto 2.

Fine delle regole di Eco.

E… e la regola 41?

La regola 41 Eco l’ha ripetuta 40 volte all’interno di ciascuna delle 40 regole. Non la indovinate?

Mostrare è meglio di raccontare.

E se lo dice Eco è vero per forza.

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