The Elements of Style – Elementi di stile – manuale

The Elements of style è un classico dei manuali di scrittura, al di là delle varie edizioni, io faccio riferimento all’ultima, la quarta, è un testo che ha le sue origini in un libretto scritto e dato come dispensa all’università dal professore d’inglese William Strunk nel 1919. Il professore, visto che i suoi allievi ripetevano perennemente gli stessi errori decise di buttar giù il volumetto, un bignami di stile.

Elements of style non è un manuale di narrativa, i principi che contiene sono generici e mirano a rendere qualunque linguaggio scritto comprensibile ed efficace. Nel tempo sono state fatta aggiunte, ma è rimasto un libricino sottilissimo e denso. D’altronde una delle regole d’oro più volte ribadita nel vari capitoli è quella di non sbrodolarsi, mai usare due parole quando se ne può usare una sola.

Esisite anche una versione italiana, pubblicata dalla casa editrice Audino in quella serie di manuali di scrittura con la copertina beige, manuali di script (la versione inglese è della Longman). Non mi è riuscito di trovare sul mulo la versione italiana, per cui amen. Immagino che alcuni capitoli siano sensibilmente diversi dalla versione inglese, me lo auguro.

Trattandosi di un manuale di stile, i principi generici, come tutti i principi della narrativa, valgono in inglese come valgono in italiano, come valgono in swahili. Ciò non toglie che quando ci si addentra nei meandri della sintassi e della grammatica per vedere come vengono messi in pratica quei principi, non è detto che in due lingue diverse si incontrino gli stessi problemi. Se il discorso di usare gli avverbi con le pinze, e di metterne al muro quanti più possibile, vale in inglese quanto in italiano, un consiglio sul genitivo sassone ha motivo di esistere solo in inglese, mentre in italiano varrebbe la pena spendere due parole, ad esempio, sul tempo imperfetto. Quando poi si scende ancora più nel particolare e si analizzano i più comuni errori d’uso, è chiaro che tutto cambia passando da una lingua all’altra.

Elements of style è un manuale interessante anche se letto in versione inglese, in più si trova facilmente. Nel proseguo dell’articolo faccio riferimento alla versione inglese.

Il manuale è organizzato in regole elencate e numerate come comandamenti. Le regole che non riguardano la grammatica nuda e cruda non devono essere prese come ordini, e neppure come comandamenti, ma come ottimi consigli. Come dire: se esci dal seminato poi le croste te le gratti tu.

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Capitolo 1 – Regole d’uso.

Il primo capitolo è una selezione di regole di costruzione grammaticale che più facilmente vengono disattese dagli aspiranti scrittori. Alcune valgono anche per l’italiano, altre no. In ogni caso non è nulla di trascendentale, se conoscete la vostra lingua come si deve le applicate già da soli. Ad esempio, la regola di non mettere la virgola tra soggetto e predicato è per me un ricordo delle elementari. Leggendo quello che si scrive in giro riconosco che non è così ovvio che tutti lo sappiano…

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Capitolo 2 – Elementi di composizione

Capitolo molto utile perché contiene regole applicabili anche all’italiano. In realtà in italiano ne servirebbe qualcuna in più vista la grammatica un po’ più stronza di quella inglese.

12) Scegliete uno schema adatto e mantenetelo.

Quando ci mettiamo a scrivere, i dettagli della scena e le cose da dire vengono in mente in un ordine tutto nostro. Non è detto che quello sia l’ordine giusto in cui scriverle. A seconda dell’effetto che si vuole ottenere e delle necessità del momento è bene creare un ordine, o un disordine, ben definito e attenervisi. Il lettore avrà più facilità a seguire i passaggi logici/visivi/psicologici o quel che è.

13) Fate del paragrafo l’unità base della composizione.

Tradotto: non mettere i punti a capo a capocchia. (Non mettere niente a capocchia.)

14) Usate i verbi all’attivo

La voce attiva è… attiva. È immediata, diretta, precisa. Il passivo è… passivo. È indiretto, lavora di sponda e costringe a un giro logico in più. Non che il passivo debba essere bandito, ma andrebbe usato solo quando c’è una ragione precisa, tipo che si vuole sottolineare la condizione di passività; altrimenti andate giù di attivo.

Ci sarebbero anche i verbi riflessivi, trascurati in inglese perché praticamente non esistono. Qui dico la mia. Nelle scene d’azione, in cui bisogna essere veloci e pregnanti, preferisco, potendo scegliere, i verbi attivi, che non hanno il pronome di mezzo. Per il resto, i verbi riflessivi sono così importanti e semplici da usare che non fa differenza.

15) Mettete le affermazioni in forma positiva.

Idem con patate. Perché negare per affermare? Se si afferma si afferma, se si nega si nega. Chi nega per affermare spesso lo fa per timidezza o per disagio, non è sicuro di quello che scrive e allora smussa il tono negando per affermare. Mai indebolire la propria scrittura.

16) Usate un linguaggio concreto e specifico.

E qui si tocca un punto fondamentale. Al lettore bisogna dare qualcosa di fermo e sicuro a cui aggrapparsi perchè possa figurarsi la scena. Bisogna dargli dettagli specifici, precisi e concreti. Dettagli concreti necessitano di un linguaggio concreto. Essere concreti e specifici rende tutto più vero. Certo, se siete insicuri, se non sapete neanche voi cosa scrivere, vi rifugerete nella vaghezza e nel generico, così tanto tutto va bene, con la scusa che “così il lettore può lavorare di fantasia”. Il lettore lavora di fantasia se ha qualcosa su cui lavorare, se state sul teorico e sul generico si addormenterà dopo due righe.

17) Omettete le parole inutili.

Dire una cosa con più parole del necessario equivale a prendere il vino e annacquarlo. I verbi pleonastici, le ripetizioni, le seghe mentali, le diarree linguistiche… Se si usano le parole che sono necessarie, e solo quelle, la scrittura risulta forte e saporita. Di nuovo, le lungagginerie sono spesso segno di timidezza o di insicurezza.

In generale, omettete ciò che è inutile alla vicenda. Se state raccontando del vostro cane Paco che si perde nella Foresta Oscura e ritrova la strada di casa, è inutile raccontare della vostro prozia Andreina che si è spaccata un femore inciampando in giardino mentre raccoglieva margherite. Distrarrete dal punto della questione, mischierete il pane con la focaccia, indebolirete la storia e rischierete di annoiare senza ottenere vantaggi in cambio.

18) Evitate le successioni di periodi scollegati fra loro.

Beh, è un corollario della 12. Metteteci un ordine e collegate le frasi in maniera logica. Vale per la singola frase come per i romanzi interi: seguite una direzione.

19) Esprimete idee simili in forma simile.

Collegato al discorso di prima. Se la forma sintattica che scegliete corrisponde al ragionamento che volete esprimere, la scrittura risulta più chiara, più immediata. Il manuale fa esempi molto terra terra, ma il discorso è ugualmente importante quando si gestiscono non più singole parole, ma interi periodi.

20) Raggruppate insieme le parole correlate fra loro.

C’è bisogno di spiegarla? Sempre stesso discorso, metteteci un ordine che abbia direzionalità.

21) Usate sempre lo stesso tempo verbale.

Quarta elementare.

22) Mettete le parole da enfatizzare alla fine della frase.

Banale direi. Se la frase ha una direzionalità verso una parola è chiaro che quella parola deve stare in fondo. Fare il contrario sarebbe come scoccare una freccia con le piume sulla punta. Basta un po’ d’orecchio e molto allenamento.

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Capitolo 3 – Alcune questioni di forma.

Alcuni consigli di questo capitolo sono utili, tipo l’uso del punto esclamativo o dei colloquialismi, altri valgono solo per l’inglese.

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Capitolo 4 – Parole ed espressioni mal utilizzate

Immagino nella versione italiana questo capitolo sia stato scritto ex novo.

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Capitolo 5 – Un approccio allo stile

Il capitolo più interessante.

1) Mantenetevi in disparte.

Una delle cose più fastidiose è trovarsi lo scrittore in mezzo ai piedi una pagina sì e l’altra pure. Lo scrittore che pontifica, lo scrittore che giudica, per non parlare del sempre odioso scrittore che insegna, o dello scrittore io-sono-un-genio-voi-non-siete-in-grado-di-capire. In alternativa c’è lo scrittore ingenuo che pensa che la sua vita personale di pischello di vent’anni freghi a qualcuno, lo scrittore che non si accorge che l’autobiografia è il genere più difficile in assoluto, lo scrittore che vuole emulare i Grandi Classici e via di questo passo.

Se volete esprimere idee politico-sociali-reigiose e spargere in giro la segatura delle vostre seghe mentali, scrivete un saggio. Se scrivete narrativa tenetevi fuori dal palcoscenico, non è quello il vostro posto.

2) Scrivete in modo naturale.

Copiare è giusto, è così che s’impara, guardando come fanno gli altri. È sbagliato farlo deliberatamente, è sbagliato emulare. Trovate il vostro modo di scrivere, non ricopiate a papera lo stile di un altro.

5) Lavorate avendo in mente un progetto.

Dovete sapere dove volete andare a parare altrimenti non saprete in che direzione far progredire la storia. Aggiungo che dovete avere ben presenti anche quali sono i progetti dei vostri personaggi.

4) Scrivete con sostantivi e verbi.

Pensatela così: se io voglio andare al sodo, esprimere la sostanza in quello che scrivo, devo parimenti usare uno stile di sostanza. Provate a prendere la parti del discorso e a toglierne una alla volta. Vi accorgerete che le uniche di cui non potete fare a meno sono i sostantivi e i verbi. Sostantivi e verbi sono le colonne portanti, non vi tradiscono.

Ad esempio, perché usare un verbo debole per poi doverlo puntellare con un avverbio, quando posso scegliere un verbo forte, più preciso? Perché camminare velocemente quando posso correre? Perché correre disperatamente quando posso precipitarmi?

5) Revisionate e riscrivete.

Si spiega da sola. Pensare di aver raggiunto la Perfezione alla prima stesura denota o ingenuità o idiozia o un ego sterminato. Il consiglio è tanto più valido quanto più siete agli inizi.

6) Non siate troppi elaborati.

Lo stile tutto fronzoli e sciorinate irrita e annoia. A me dà l’impressione che l’autore mi stia prendendo per i fondelli, che mi stia vendendo aria fritta.

7) Non enfatizzate troppo.

Quando, presi dall’ansia di convincere il lettore che le cose stanno davvero, davvero come dite voi, enfatizzate troppo, il lettore anziché credervi diventerà sospettoso.

8) Limitare l’uso di aggettivi e avverbi.

Il manuale li chiama sanguisughe. Per gli avverbi non c’è molta pietà. Per gli aggettivi dipende quali aggettivi, quelli che mostrano sono meglio di quelli che raccontano. In ogni caso sono da usare con moderazione e mai come stampelle.

9) Non simulatevi disinvolti.

Mr. “Spontaneamente me”.

10) Regola che ha a che fare con lo spelling inglese. (Al max, per l’ita si potrbb dire d nn skrivere kosì.)

11) Non spiegate troppo.

Non ha senso definire ogni minimo dettaglio, specie se lo fate in maniera goffa. E di nuovo torna l’uso degli avverbi con l’esempio dei dialoghi dove, come principianti, ci si trova in obbligo di spiegare per forza come i personaggi parlano e invece di scrivere un semplice “disse” ci si inventa cose strane, “disse intensamente”, “disse pudicamente” eccetera. Il come i personaggi parlano deve essere mostrato dentro il dialogo, dentro le virgolette. Nelle descrizioni dei dialoghi (i cosiddetti dialogue tag) un semplice “disse” è di solito la soluzione migliore, con varianti su “chiese”, “bisbigliò”, “gridò” e simili. Di rado c’è bisogno di inventarsi altro.

12) Questa non vale granchè per l’italiano. Non costruite avverbi strani. Gli italiani di solito non costruiscono avverbi strani, ma potrebbero costruire altre stranezze. Io non sono contraria all’inventarsi termini nuovi e non mi viene affatto l’ulcera se vedo neologismi, l’importante è creare con criterio e usare se necessario, non per fare gli spendidi.

13) Assicuratevi che il lettore sappia chi sta parlando.

In generale, assicuratevi che il lettore sappia che è il soggetto della frase! Meglio dire il soggetto una volta di più che una di meno.

14) Evitate parole stravaganti.

Regola che riguarda sia le parole inventate sia l’uso di parole storpiate. È un divieto relativo. Parole stravaganti sono difficili da gestire, rischiano di risultare incomprensibili, ridicole o maldestre. Maltrattare la grammatica va bene a patto di sapere cosa si sta facendo e perché.

15) Non usate il dialetto a meno di avere un buon orecchio.

Fate in modo di conoscere bene il dialetto che volete usare e non esagerate. In generale, ogni volta che uscite dagli schemi state in guardia, abbiate ben presenti i rischi che state correndo e siate consapevole del motivo per cui vi state prendendo quei rischi. Se non avete un motivo valido, perché rischiare?

16) Siate chiari.

Oramai s’è capito.

17) Non immettete opinioni.

Vedere anche punto 1.

18) Usare le figure retoriche con moderazione.

Soprattutto, le figure retoriche devono aiutare a rendere il concetto più chiaro, non a incasinare ulteriormente le idee.

19) Non prendete scorciatoie a discapito della chiarezza.

Spesso si omette per pigrizia. Tutte le volte che scrivete “questo”, “quella volta”, “quell’uomo” “in quel caso” chiedetevi se non state omettendo. “Quello” cosa? Non scaricate mai sul lettore la fatica della scrittura.

20) Evitate le parole straniere.

Le parole straniere fanno sentire acculturato l’ignorante. C’è una ragione se i giornaletti scandalistici che compra al casalinga di Voghera sono annegati in fashion, sexy, trendy e cool. La verità è che le parole straniere, specie se di recente importazione e se usate indiscriminatamente, galleggiano come stronzi nel mare. Spiccano, attirano l’attenzione, si sbracciano e urlano “guardate quando sono figo, ho usato una parola straniera!” Se poi la parola straniera vi serve per davvero, mandate a fanculo i puristi e usatela.

21) Preferite il linguaggio convenzionale a quello gergale.

Stesso motivo della 15. Se uscite dal seminato vi prendete dei rischi, fatelo se avete ottimi motivi e se siete in grado di gestire la cosa.

Fine.

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Pensate che darsi delle regole sia restrittivo, che distrugga l’ispirazione, l’arte, il vostro personale stile?

Quando un pianista si siede alla tastiera cosa fa? Suona note a caso? No, suona note ben precise in un ben preciso ordine, con un ben preciso ritmo. Ha passato anni a studiare la tecnica e probabilmente continuerà a farlo finchè campa.

Non bisogna imparare a rispettare le regole, bisogna imparare a usarle.

3 pensieri su “The Elements of Style – Elementi di stile – manuale

  1. fraflabellina Autore articolo

    In versione inglese lo trovi sul progetto Gutemberg, l’ho visto sia sul mulo che su torrent. C’è un po’ dappertutto, sono scaduti i diritti di copyright. Potrebbe non essere la stessa edizione però, io ho fatto riferimento alla quarta e ultima, ma dando un’occhiata veloce non mi sembra ci siano sostanziali differenze. Ho cercato la versione italiana in ebook dappertutto, ma senza successo.
    Di quelli che ho letto fin’ora è stato il manuale col tasso maggiore di informazioni-per-pagina. Te lo consiglio, prende sì e no venti minuti di tempo!

  2. Pingback: La 41esima regola per scrivere bene di Umberto Eco | Inchiostromanzia

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