Fuochi fatui II – Hydropunk

Questa è la seconda parte del racconto Fuochi fatui. Prima o dopo lo impaginerò e ne farò un Epub, poi poi poi…

Fuochi fatui I

[…]
Chiarizia lasciò il timone all’irlandese che erano le due di notte. Si dirigevano verso il monte Magnaghi, dentro la piana abissale. Avrebbero navigato tutta la notte su acque a più di duemila metri di profondità, lontano dai monti sottomarini, nelle cui vicinanze si trovavano più spesso i fumaioli.
Chiarizia buttò la giacca sulla sedia, liberò le budella dalla stretta della cintura e frugò nel cassetto del comodino in cerca della riserva di tabacco. Anche un bicchiere di mirto gli avrebbe fatto bene.
Tirò dalla pipa, assaporò le volute di fumo socchiudendo gli occhi. La brandina scricchiolò sotto il suo peso e Chiarizia rimirò i trofei appesi al soffitto. Quindici fumaioli, dai sette i venti centimetri di diametro. Il più grande di tutti stava in cabina di comando al posto del pesce spada imbalsamato di quando aveva iniziato il mestiere. L’aveva buttato a mare, era un relitto da museo. Adesso Chiarizia dava la caccia ai fumaioli e incendiava le bolle di metano.
Fece ondeggiare il mirto nel bicchiere. Se n’era versato troppo poco. Si sfilò gli scarponi e si appoggiò il bicchiere sulla pancia. Il borbottio di fondo delle macchine lo faceva sentire al sicuro, nel ventre della sua barca, con l’aroma dolce del fumo che si diffondeva nella cabina.
Persino i cacaracci gli erano venuti in simpatia, meglio loro di quei mostri assassini che avevano rovinato la pesca, rovinato le coste, rovinato l’aria, rovinato tante città. Aveva conosciuto DeLuca a Venezia. Avevano rovinato tutto.
Il sonno gli intorpidì le mani, la pipa spenta gli penzolò dalla bocca, il ronzio delle macchine lo cullò nel dormiveglia.
«Capitano! Capitano!»
Chiarizia saltò in piedi. La sirena suonava. Raccolse la pipa da terra. «Arrivo, maledizione.»
Sul ponte l’irlandese e Sebastiani gli andarono incontro.
«Di dritta, capitano.»
A meno di duecento metri bruciavano lingue di fuoco blu. Sbucavano dritte dal mare come chiome di sirene.
«Macchine ferme,» urlò alla Rosi in cabina.
Martinozzi sbucò da sottocoperta in canottiera. «Cosa succede?»
«Fuochi fatui,» Chiarizia lo prese per le spalle e lo mise seduto sulla pila di cordami di fianco all’argano. «Stia fermo qui e non faccia niente.»
Il mare era calmo, i fari sotto la Sirena illuminavano di bianco le onde intorno alla barca.
«C’è niente sotto?»
«No,» disse Sabastiani porgendogli un binocolo. «Ho appena controllato.»
I fumaioli sporgevano inconfondibili poche decine di centimetri sopra il pelo dell’acqua.
«Li catturiamo, capitano?» gli occhi dell’irlandese luccicarono.
Chiarizia si passò le dita nella barba sfatta di tre giorni. Di solito i fumaioli erano sui fianchi di un monte sommerso, non su piane abissali. Comunque fosse, erano lì. E se c’erano i fumaioli, da qualche parte c’erano anche le bestie.
«Alzate i palloni,» ordinò.
Sebastiani e l’irlandese corsero sottocoperta. Chiarizia mosse l’argano e calò il gommone in acqua.
I sei palloni si alzarono a due a due. Appena i cavi d’acciaio si tesero, l’elio soffiò dentro la tela e la gonfiò. I palloni si toccarono e s’alzarono come respingenti inclinando la nave prima da un lato, poi verso poppa. Dagli ombrinali colò acqua e infine il mare si staccò dallo scafo, gocciolò giù per le fiancate e brillò illuminato dai fari.
«Basta così.»
La Rosi fermò l’elio, gli sfiatatoi fischiarono e la nave si assestò a circa quattro metri dalla superficie calma del mare.
Martinozzi si sporse dal parapetto a guardare le acque.
Chiariza lo afferrò per la collottola. «Che ho detto? Stia lì, fermo.»
Martinozzi si stropicciò la tela dei calzoni. «Ne catturerete? Di bonellie? Almeno la proboscide, se potessi analizzarla, come risolve l’ipobarometria, uncini prensili, ocelli…»
«Stia fermo qua. E speri solo di non incontrare quelle bestie.»
«Io ho bisogno di dati, capitano! Dobbiamo sapere chi sono, cosa vogliono, io…»
«La devo legare all’argano?»
«Mi faccia almeno andare a prendere i miei strumenti.»
«Tenga d’occhio l’acqua. Se vede delle pinne cacci un urlo. In cabina di comando c’è un sensore, se scatta l’allarme la Sirena è dentro una bolla di metano. Non tocchi niente per carità e lasci fare alla Rosi. Ha capito?»
Martinozzi annuì.
«Va bene, vada a prendere le sue cose.»
Martinozzi si precipitò. Chiarizia si calò con l’irlandese e Sebastiani nel gommone, dove erano pronti il sensore, due bombole, lo zaino con le mine, quattro arpioni e lo scaccio.
Nella luce bianca dei fari che sporgevano dalla scafo della Sirena l’irlandese e Sebastiani affondarono le pagaie nell’acqua nera. Non c’era vento, non c’erano correnti di superficie, i fuochi balenavano in verticale come spiritelli.
Chiarizia mordicchiò il bocchino. Le creature che fabbricavano i fumaioli erano avanzate, ma niente poteva far innalzare un tubo per tre chilometri senza che si spezzasse, specie con le correnti che dall’Atlantico spingevano come muri d’acqua. Eppure i fumaioli erano lì, a portata di voce l’uno dall’altro.
I fuochi ribollivano e borbottavano in un turbinio di lingue azzurre e verdi. L’aria seccava le labbra, aveva l’aroma surriscaldato dell’ozono e un retrogusto freddo, di alga, che faceva rizzare i peli sulle braccia. Era solo una suggestione, Chiarizia si impose di non pensare alle gelide profondità marine. Una tomba.
«Passa. Vai a quell’altro,» Chiarizia indicò il fumaiolo più grosso.
Controllò le mine, programmate per esplodere quindici minuti dopo il rilascio. Il fumaiolo doveva saltare alla base, di modo da spezzare pozzi sotterranei, fabbriche, depositi di bestie in decomposizione, qualsiasi cosa là sotto fosse la causa del metano. Se le mine fossero esplose vicine alla superficie il metano avrebbe continuato a salire in sciami di bollicine.
L’irlandese e Sabastiani indossarono le maschere. Chiarizia infilò i guanti. «Lo scaccio.»
Gli porsero l’asta di metallo con all’estremità il cappuccio conico. Mentre Sebastiani lo teneva per le spalle perché non cadesse, Chiarizia si sporse sull’acqua allungando lo scaccio sopra la bocca del fumaiolo. L’irlandese avvicinò il gommone di una spanna.
Il fuoco azzurro arrostiva le pupille, l’aria grattava come pelle di squalo. Il cappuccio sfiorò il fumaiolo e cadde in acqua, Chiarizia rialzò la sbarra facendo leva sulle braccia, strinse la presa sullo scaccio e sulla pipa, il sudore gli inzuppò i guanti e i capelli,.
«Appena più avanti,» borbottò sotto i denti. I tendini delle spalle gli bruciavano come punture di meduse. Appoggiò lo scaccio sulla bocca del fumaiolo. Chiuse gli occhi.
Il fuoco avvampò ai lati con una fiammata e si spense. Chiarizia attese qualche secondo poi tolse lo scaccio.
Dal fumaiolo usciva il sibilo del metano.
L’irlandese accostò il gommone al fumaiolo, Sebastiani con una forcella si assicurò che il gommone non toccasse il metallo, Chiarizia strappò la sicura e gettò la mina.
«Via.»
L’irlandese e Sebastiani girarono il gommone e remarono.
«Ma dov’è?» ansimò Chiarizia.
[…]
 

Fuochi fatui III

Come sempre, i commenti sono ben accetti.

3 pensieri su “Fuochi fatui II – Hydropunk

  1. Pingback: Fuochi fatui – Hydropunk | Inchiostromanzia

  2. Pingback: Fuochi fatui III – Hydropunk | Inchiostromanzia

  3. Pingback: Fuochi fatui IV – Hydropunk | Inchiostromanzia

Lascia un commento