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Fuochi fatui IV – Hydropunk

Ed ecco il finale. Ohi ohi.

Fuochi fatui I

Fuochi fatui II

Fuochi fatui III

[…]
Chiarizia respirò a fondo, prese slancio, sganciò l’arpione e si tuffò nel mare nero.
Sprofondò nell’acqua senza curarsi di tornare a galla, imbracciò l’arpione e sparò alla cieca l’unico colpo. I vestiti e gli scarponi gli impacciavano i movimenti, lasciò andare l’arpione e nuotò verso l’alto. Sfiorò la superficie, sbuffò e prese un mezzo sorso d’aria. Le creature lo avvolsero e lo trascinarono di sotto. Chiarizia scalciò, afferrò la carne viscida e dura come acciaio che gli avviluppava le gambe. Nel taschino, sotto la giacca, infilò la mano a destra e a sinistra tra i lembi della camicia, c’era il coltellino, gli mancava l’aria, doveva salire, gli presero il polso sinistro, con l’unica mano si affannò a salire fra il gorgoglio delle bolle d’aria, l’acqua gli premette nelle orecchie, nuotò e le creature lo tirarono giù. Serrò i denti per costringersi a non respirare l’acqua, si tappò la bocca con la mano libera, e sprofondò. Le creature si strinsero ai polsi e alle caviglie, strisciavano e tiravano. Chiarizia si dibatté, graffiò la carne, schiaffeggiò l’acqua, lottò contro gli spasmi dei polmoni che invocavano aria. Gli strapparono la mano da davanti la bocca. Doveva respirare, il diaframma gli rimbalzava fino in gola, perse gli scarponi, doveva respirare. Aprì la bocca e la richiuse, inghiottì acqua e bolle, il naso e la fronte bruciarono invasi d’acqua salata. Percosse l’oscurità, si contorse, doveva respirare, si liberò una mano, la ripresero, lo tirarono giù. Chiarizia respirò un sorso d’acqua.
 
Tossì. Sputò saliva acidula mista al sapore amaro del mare.
Faceva freddo ed era fradicio. Era in piedi, legato per le spalle a qualcosa. Si mosse e scoprì di avere pareti tutt’intorno a sé. Era dentro a qualcosa.
Nel buio, davanti a lui, fluttuavano milioni di piccole luci. Un soffio d’aria fredda sibilava dietro l’orecchio destro. Tastando le superfici trovò un pulsante triangolare. Un faretto gli si accese sopra la testa.
Era in uno scafandro. Uno scafandro di metallo rivestito da uno strano cuoio del colore della pancia dei pesci. All’altezza dell’ombelico c’era uno sportello stagno che Chiarizia immaginò servisse per passare oggetti da dentro a fuori. Cibo e acqua forse. All’altezza del viso un oblò dava sull’oscurità.
Tossì. Di fianco al primo c’era un secondo pulsante che accendeva le luci esterne dello scafandro. Chiarizia spense le luci interne per vedere meglio. Dei cavi fissati allo scafandro lo tiravano in basso.
Erano state le creature a metterlo lì dentro. Fece per scrollarsi, provare a liberarsi, poi pensò che essere sperduto negli abissi dentro una bara, senza sapere qual’era il sotto e quale il sopra, avrebbe significato l’agonia.
Aveva perso la pipa. In tasca trovò solo un pugnetto di tabacco zuppo di acqua di mare.
«Maledizione, maledizione, maledizione…»
Qualcosa gli dava fastidio sulla schiena. Era lo zaino. Contorcendosi, maledicendo le creature, lo scafandro e la ciccia di troppo sulla pancia se lo portò davanti. Lo aprì. Cinque mine, grosse come il pugno di una mano, erano intatte. Le rimise via.
Gli formicolarono le dita. L’immagine del corpo di Martinozzi gridava vendetta. La sua pipa, il regalo che gli era più caro, gridava vendetta. Il capitano DeLuca gridava vendetta.
Ascoltando il sibilo dell’aria a pressione, scrutando nell’oscurità vuota dell’abisso, Chiarizia aspettò di rincontrare le bestie.
 
Una luce azzurrognola crebbe dal basso disegnando contorni di colline e di edifici sottomarini. Angoli e archi di luce vibravano come fossero vivi. La corrente frusciò sulle lamine di metallo.
Sprofondando, Chiarizia passò accanto a una struttura di metallo più alta di una nave da crociera al cui interno girava lenta un’elica spinta dalla corrente. Pareva l’elica di una nave, ma non ne esistevano di così grandi.
Segnalati da luci, una fila di fumaioli s’innalzava nell’oscurità fuoriuscendo da un edificio senza tetto, con pareti spioventi e un lato a forma di prua al cui interno ingranaggi e catene emettevano tonfi e stridii.
Dalla fabbrica, una colonna di vapore e fuoco si accese nell’acqua e scomparve in un bagliore.
Chiarizia scese seguendo le pendici della collina verso una spianata e vide le creature. Vennero per sganciare i cavi. Avevano la pinna prensile, la proboscide, e il lungo braccio collegato al corpo, una palla grigiastra e bitorzoluta cinta da appendici semitrasparenti che ondeggiavano avanti e indietro. Una fila di puntini neri si muovevano a scatti sulla cima del corpo e alla base della pinna prensile. Occhi, che lo fissavano. Le creature non nuotavano, ma fissate a una sacca di pelle di squalo sciamavano su aggeggi ovali dotati di alette laterali e ventrali e di eliche che frullavano nell’acqua vibrando come mosconi. Aloni di luce si accendevano e spegnevano attorno agli occhi.
Chiarizia si asciugò il sudore, inspirò a fondo l’aria fresca che soffiava nello scafandro senza riuscire a sbattere le palpebre. Un altro gettò di fuoco accese gli abissi e si spense.
Chiarizia strizzò gli occhi. A sinistra, ai piedi della collina, c’era un lago, un lago d’acqua nell’acqua, immoto, color piombo. Una creatura lo sorvolò sul suo idrogibile. Le sponde di roccia sforacchiata brulicavano di granchi bianchi come neve, di cozze e di vermi orlati di tentacoli che pulsavano di luce. Dalle sponde che risalivano verso la collina estrudeva una pietra bianca che pareva ghiaccio o gesso. E dalla pietra sgorgavano nugoli di bollicine. Le bolle salivano dal fino a un cono di pelle trasparente con un intelaiature di metallo che le raccoglieva e le aspirava in un tubo.
Le creature spinsero lo scafandro verso il fianco della collina, dove la roccia era stata scavata e i massi tagliati per farne una costruzione nera, bucherellata come un alveare e popolata da una moltitudine di creature, che la rendevano tanto luminosa da farla sembrare un faro. Dai buchi sporgevano ovunque tubi, proboscidi, banderuole di cuoio e idrogibili. Era la loro casa, vivevano lì.
Chiarizia tastò la rotondità delle mine contro la schiena.
Quello era il posto per farle esplodere. Non potevano vederlo dentro. Poteva farle cadere una per una. Anche se se ne fossero accorti sarebbe stato troppo tardi. Lui sarebbe morto nell’esplosione, ma meglio così che asfissiato nello scafandro o divorato.
Le creature spinsero lo scafandro sempre più vicino all’edificio. Chiarizia accarezzò la mina, sfiorò la sicura.
 
Lo accostarono al lato di dritta dell’edificio, dove l’attività ferveva meno frenetica, ma fosse come fosse, parecchie centinaia sarebbero morte con lui nell’esplosione o nei crolli.
Un singolo oblò era imbullonato alla pietra. La luce che emetteva era diversa, più normale, più elettrica.
Chiarizia afferrò la mina. Una volta vicino non aveva che da togliere la sicura, appoggiare la mina nel vano e buttarla fuori. E contare quindici minuti.
Spense le luci esterne. Il sudore gli pizzicava sulla fronte. Forse avrebbe avuto tempo di gettarne altre. Digrignò i denti al pensiero.
Incastonato nella roccia bitorzoluta e punteggiata di anfratti, l’oblò era illuminato da dentro. Vermetti e mitili ne incrostavano i bulloni.
Chiarizia prese un respiro profondo. Infilò l’indice nell’anello della sicura.
Una figura si mosse dietro l’oblò.
Ora o mai più. Con un colpo secco Chiarizia strappò la sicura.
Alzò gli occhi.
«Lara…»
Attraverso i due vetri dello scafandro e dell’oblò riconobbe il mento a punta, i riccioli ribelli, gli occhi neri come la notte che regnava perenne negli abissi. Il capitano Lara DeLuca.
La sua amata allungò le dita come per accarezzarlo sulle labbra e gli sorrise.
«Lara.»
Gli tremò la mano.
 
Fine
 

I commenti sono bene accetti, giuro che non strangolerò nessuno. (Leathy, la motosega!)

Fuochi fatui – Hydropunk

Visto che il concorso Hydropunk ha chiuso la fase di raccolta dei racconti, mi prendo la libertà di pubblicare la prima parte del mio, poco meno di un quarto della lunghezza. E’ la quarta revisione, che ho deciso arbitrariamente essere l’ultima, ma rileggendo ora vedo che c’è qualcosina da mettere a posto. C’è sempre qualcosina da mettere a posto. Il titolo è Fuochi fatui.

Il capitano Chiarizia liberò la cima dalla bitta e la lanciò al marinaio sul ponte della dragamine. Sebastiani, al timone, allontanò la Sirena dalla dragamine e dalla traiettoria delle eliche.
Il marinaio sventolò il berretto, le eliche spazzarono le onde. I palloni aerostatici tiravano i cavi d’acciaio, la dragamine virò in equilibrio cinque metri sopra il pelo dell’acqua e una nuvola di spilli sbuffò dal mare. La nave virò verso Capo Carbonara seguita da un arcobaleno d’acqua vaporizzata.
Chiarizia si asciugò la faccia con la manica della camicia.
Centellinò il poco tabacco rimastogli e si accese la pipa. Il nuovo arrivato, che la dragamine aveva pescato dritto dritto dalla terraferma, salì a prua con lui.
Martinozzi sorrise. Scarpe di tela, calzini bianchi, mani bianche, vecchio orologio d’oro e gel nei capelli. Chiarizia si gustò l’aroma sulla lingua.
«Queste sono le boe?» Martinozzi indicò la tela ripiegata del pallone aerostatico che dalla cala di prua usciva sul ponte di comando. «Ci troveremo a usarle secondo lei?»
«Se avvistassimo fuochi fatui.»
Martinozzi guardò il cielo che imbruniva. Masticava qualcosa.
«Tabacco?» chiese Chiarizia.
«Cosa? No, gomma. Per il mal di mare.»
«Oh.»
«Non avevo mai visto un’intera nave portata dalle boe. Anche la Sirena può sorvolare il mare?»
«Quella là è una nave sperimentale e la Sirena è solo un vecchio peschereccio,» Chiarizia accarezzò la balaustra, il fianco dipinto di bianco e di blu. «Se avremo sentore di quelle bestiacce, un fuoco fatuo, una bolla di metano, se venissero a grattarci la chiglia, gonfieremo i palloni con l’elio e ci solleveremo, ma saremo immobili. La vede quella cima? Se s’impiglia, il pallone non sale, la nave s’inclina da una parte e qualcuno finisce in acqua. E lo vede il gancio? Se i miei marinai non arrivano in tempo a sganciarlo i palloni non si alzano, non si gonfiano e noi rimaniamo coi piedi al bagnato.»
Martinozzi aprì il collo della camicia. «Non darò fastidio, capitano.»
«Si è già sistemato sottocoperta? Sì? Allora si cambi le scarpe. Se qualcosa le va su un piede e ne fa una sogliola mi aspetto che lei continui a camminare.»
«Ma la mia attrezzatura, il microscopio, i ferri?»
«L’irlandese e la Rosi hanno sistemato tutte le sue faccende nella stiva.»
Chiarizia fece segno di seguirlo.
 
La vecchia cella frigorifera era stata smantellata. Le pareti d’acciaio nudo vibravano a contatto con la sala macchine. La Rosi, in piedi nell’angolo opposto al portello, sollevò il disco Secchi facendolo oscillare.
«L’hai sistemato quell’aggeggio?»
«Sì, capitano. Si era solo slegato, nessun problema.»
«Niente?»
Chino sul visore, Sebastiani ruotò il periscopio sott’acqua. «Blu, blu, blu e blu.»
Sul tavolo inchiodato al pavimento affianco al periscopio, la Rosi aveva sistemato l’attrezzatura di Martinozzi.
Chiarizia aprì una custodia di pelle nera e osservò i bisturi e le pinze aspirando le ultime boccate dalla pipa. La roba del biologo sapeva di disinfettante e di sapone per i piatti. Aveva portato a bordo fogli plastificati, boccettine e alambicchi, cannucce graduate, una collezione di contenitori in plastica con etichette tra le più ingarbugliate che Chiarizia concepisse, il microscopio con quattro ingrandimenti, vetrini, dei libri, un taccuino.
Con la coda dell’occhio Chiarizia vide che Sebastiani invece di controllare il periscopio se ne stava a cavalcioni dello sgabello a fissare la Rosi con una faccia da tonno. La cima del disco Secchi si era tutta impigliata e annodata.
«Ha mai sezionato una di quelle bestiacce?»
«Le ho studiate,» rispose Martinozzi. «Non sono facili da catturare. E poi non sono bestiacce.»
«Ah no?»
«Sono intelligenti. I resti dei fumaioli ne sono una prova inconfutabile.»
«Intelligenti, eh?»
Martinozzi sistemò i piedini sotto il microscopio. «Non crede che siano intelligenti?»
Chiarizia tirò dalla pipa. «Sebastiani!»
«Sì? Sì, capitano.»
«Il periscopio!»
«Mi scusi, capitano.»
Chiarizia sedette sul tavolo e sui taccuini di Martinozzi. «In vista delle coste sarde, a cinque miglia dalla scarpata, l’equipaggio di un ex peschereccio simile alla Sirena sentì un rumore di metallo venire dalla carena. Poteva essere un galleggiante alla deriva, un tronco, un pezzo di qualcosa. Il fondale sarà stato di seicento metri. Fuori bordo non c’era niente di niente. Si misero al periscopio e videro delle ombre, come delle cime arrotolate al timone. Poi videro una coda. Una pinna verde, e sentirono il rumore di un trapano che forava lo scafo. In cinque minuti la sentina era allagata, il fondo aperto come una scatola di sardine. In dieci minuti la nave affondò. Io ero vicino, raccolsi un marinaio. Non trovai gli altri quattro, né il capitano DeLuca. Erano andati giù. Il marinaio disse che le pinne lo avevano afferrato per le gambe,» Chiarizia picchiettò il fondo della pipa buttando per terra cenere e fondiglio ancora tiepidi. «Conoscevo bene il capitano DeLuca. Mi regalò questa pipa, l’ultimo regalo che mi fece, un giorno prima di scomparire là sotto. Se penso che quelle bestie sono intelligenti? Oh, sì. Sono intelligenti. Chissà cosa nascondono, che piani hanno.»
«Bisogna trattarle con rispetto.»
«Sebastiani! Il periscopio! Rispetto? Se ne pesco una gli stacco pinne e squame una a una.»
«Non hanno né pinne, né squame,» disse Martinozzi. «Sono bonellie.»
Chiarizia aveva bisogno di un’altra fumata. «Vada a riposarsi, sarà stanco,» disse. «Qui dobbiamo fare i turni al periscopio, lei farà il turno del mattino. E si cambi le scarpe.»
 […]
 
Vai a Fuochi fatui II
 

I commenti sono ben accetti.

Lista delle scene – Concorso Hydropunk

Ordunque, avevo parlato del concorso Hydropunk qui e avevo detto che forse avrei partecipato. Beh, l’altra settimana, alleluja, ho finito di buttare giù la prima stesura, e ieri, altro alleluja, ho finito la prima revisione.

Lo stile era un crimine contro l’umanità. C’erano cose che mi erano venute in mente a metà e dovevo tornare indietro ad aggiustarle. E… era di circa 1000 parole troppo lungo.

Sforare di mille parole su un massimo consentito di 5000 non è male. Per fortuna nella prima stesura c’è sempre una marea di fuffa e di ripetizioni.

Ho però fatto una cosa che non avevo mai provato, ho listato le scene del racconto per visualizzarle meglio. Essendo “solo” 11 non è un gran problema, ma visto che voglio applicare lo stesso sistema anche a un lavoro che di scene ne ha abbondantemente oltre il centinaio, ho fatto qui la prova.

Ecco la lista delle scene del racconto.

Numero Titolo Lunghezza Tensione Tipo
1 Dragamine 560 4 Descrizione-Dialogo
2 La Margherita 509 6 Dialogo
3 Cabina del capitano 309 5 Descrizione-F. interiore
4 I fuochi fatui 1089 8 Azione-Descrizione
5 La Sirena 570 7 Dialogo-Azione
6 La bonellia 534 6 Dialogo-F.interiore
7 L’attacco 844 8 Azione
8 Annegamento 313 9 Azione
9 Lo scafandro 375 7 Descrizione-Azione
10 Il mondo delle bonellie 601 8 Descrizione
11 DeLuca 252 10 Descrizione-Azione

Numero e Titolo delle scene non hanno importanza tecnica, servono solo per contarle e identificarle.

Il numero di parole permette di vedere a occhio i rapporti di lunghezza. Essendo questi numeri relativi alla prima stesura è naturale che siano un po’ traballini. La prima stesura è disordinata e lo è in maniera disomogenea. Revisionando, alcune scene si sono sensibilmente accorciate, altre sono scese solo di una manciata di parole. In ogni caso il rapporto tende a rimanere simile. “I fuochi fatui”, la scena più lunga, è calata da 1089 parole a 843, ma resta la scena più lunga. La seconda scena “La Margherita” è passata da 509 a 497, ma in realtà è calata anche lei di almeno un centinaio di parole, non si nota solo perchè nella revisione ho aggiunto qualcosa che prima non c’era. Mi ha fatto impressione l’ultima scena, che nonostante sia la scena con maggiore tensione (è quel che spero io perlomeno) non solo era in partenza la più breve, ma è calata ancora da 252 a 197. Per dire, la scena più importante era già la più breve e ancora non aveva bisogno di tutte quelle parole. Anzi, con meno parole funziona meglio. Ciò che conta è il contenuto e se un numero inferiore di parole trasmettono lo stesso contenuto significa che la scrittura è diventata più densa, più forte. Troppe parole sono come l’acqua nel vino.

Altra cosa interessante da fare è dare un “punteggio” da 0 a 10 alle scene in base alla loro tensione. La tensione all’interno delle scene non è uniforme. Nella stragrande maggioranza dei casi tende ad avere dei picchi intermedi e a raggiungere l’apice alla fine. Il punteggio è assegnato considerando la tensione media, ma resta una valutazione soggettiva. Diagrammino.

In ascisse le scene, in ordinate la tensione. L’andamento della tensione dall’inizio alla fine della narrazione è simile all’andamento interno di una qualunque scena. Non è uniforme, parte a un livello più o meno alto, ha dei picchi intermedi e raggiunge il suo massimo alla fine.

La tensione delle scene è una conseguenza del ritmo della narrazione, cioè della velocità con cui i fatti sono narrati. Non è detto che a un ritmo più lento corrisponda una tensione minore, si pensi alla “quiete prima della tempesta”, la situazione in cui non succede niente, ma sta per succedere qualcosa. E’ invece sempre vero che quello che si percepisce leggendo non è tanto la velocità quanto l’accelerazione. Se pensate di creare più tensione andando veloci sbagliate, la tensione è frutto soprattutto delle accelerazioni. Questo significa che non si può andare sempre alla stessa velocità, rapida o lenta che sia, e non si può sempre accelerare, o ad un certo punto si arriva a un ritmo insostenibile per chi scrive e nevrotico per chi legge. Così come bisogna accelerare, così bisogna frenare. Da qui i picchi intermedi.

Immaginate che il vostro gatto faccia cadere un piatto nel bel mezzo della notte e che quello si sfracelli a terra facendo un chiasso infernale mentre voi state sognando pacifici, accoccolati nel vostro nido di coperte. Farete un salto in aria, vi verrà la tachicardia, stramaledetto gatto! E se invece qualcuno facesse cadere un piatto nel bel mezzo di una discoteca e quello si sfracellasse a terra facendo un chiasso infernale mentre voi state urlando nell’orecchio del vostro migliore amico che quella sera volete sbronzarvi fin nelle scarpe perchè la ragazza vi ha mollato, a malapena gli concedereste uno sguardo al piatto. Ma è lo stesso piatto che cade allo stesso modo. Più del rumore assoluto conta il rumore relativo. Certo che se fate esplodere una bomba H…

L’ultima colonna della tabella descrive la scena in termini tecnici. Non dice “qui muore il protagonista”, dice che quella scena è composta in prevalenza da dialogo piuttosto che da azione e quindi dà un’idea della tipologia di scena. Le scene d’azione sono più spesso cariche di tensione, ma non è detto che una scena prevalentemente descrittiva non sia altrettanto tesa o che non lo sia una scena piena di dialogo.

Conto finale della parole alla fine della revisione: 5000 tonde tonde. Lascerò passare qualche giorno e farò un’altra revisione, confido che le parole resteranno suppergiù quelle.

Qui si può leggere il racconto.

Hydropunk concorso

Non ho mai partecipato a un concorso. Sono incappata in Hydropunk rimbalzando dalla raccolta dei racconti del concorso precedente Deinos, a sua volta scoperti dopo aver letto la relativa recensione su Tapirullanza.

La cosa buffa dei concorsi è che mi fanno venire in mente una maratonda di idee. Immagino sia il fatto di avere dei limiti, un tema da seguire. Più l’argomento è strambo più la mia testa va come una locomotiva.

Non ho idea se alla fine parteciperò. C’è tempo fino al 1 novembre il che significa che fino a metà ottobre inoltrato non avrò scritto una riga e che la notte dei morti viventi la passerò a farmi diventare gli occhi a palla revisionando ancora e ancora. Quindi è presto per dire. Comunque ci sto pensando. Ci sto pensando nel senso che sto giocando a creare la storia, anche se non la scriverò forse mai.

Vi rimando al bando dove potete leggere i termini. Quello di cui volevo parlare è: come risolvere il rompicapo. Che racconto si può tirare fuori?

Prima di andare alla nocciola, bisogna sapere che la lunghezza massima accettata è di 5000 parole. Quindi non si può esagerare con le complicazioni. Sono abituata alle dimensioni del romanzo e, se mai parteciperò, sarà carino dovermi tenere dentro questi spazi.

L’argomento del concorso è a due vie. Devono esserci:

1) cambiamenti climatici.

2) scoperta di creature subbbacque intelligenti.

Un altro limite è temporale. Niente che sia anteriore il 1899 o posteriore il 1999. A proposito del titolo Hydropunk e del significato preciso di –punk, un articolo di Tapirullanza mi ha fatto notare un possibile errore di interpretazione che anch’io avevo fatto. Per chiarificare il significato di quel –punk consiglio di leggere l’articolo di Baionette Librarie sullo Steampunk.

Le creature intelligenti, venute dal mare o da altrove, si sono già viste tante volte. Così come lo spettro del cambiamento climatico. Qui si potrebbe giocare su quale cambiamento climatico avviene, potrebbe essere che i deserti dilagano, che i raggi solari hanno bruciato tutte le foreste, ma il fatto che le creature intelligenti che vengono scoperte sono marine, ti butta sulla variazione del livello del mare.

Se il tema fosse stato “scrivi di una gallina ovaiola intrappolata in una sonda spaziale in viaggio verso Proxima Centauri” ci sarebbero stati meno problemi. Qui bisogna stare all’occhio a non cadere in waterworld, i mutanti-pesce-sirene, in 2000 leghe sotto i mari, in Lo squalo 6 (mamma mia era già palloso il primo), o nel classico calamarone gigante. D’altra parte si ha moltissima libertà di movimento, il rompicapo ha una quantità abnorme di soluzioni.

Sarebbe anche stato decente se i cattivi non fossero stati cosi ridicoli!

Sul punto 1 bisogna decidere che tipo di cambiamento climatico vogliamo mettere in atto. Il 99% delle persone quando parli di cambiamento climatico in relazione al mare pensano a un innalzamento del livello del mare. Questa è indubbiamente la soluzione più facile, perchè chi legge è mentalmente pronto ad accettare questa soluzione e perchè è più immediata da giustificare. Però nessuno ha scritto da nessuna parte in lettere di fuoco che il mare non si possa abbassare. Essendo un elemento inaspettato potrebbe essere il fulcro intorno al quale sviluppare la storia, ma bisognerebbe pensarci su con attenzione.

Il punto 2 è più complicato. Basta che non siano alieni e che siano intelligenti, poi le creature sono a discrezione, quindi si può giocare liberamente.

Il primo passo è decidere che rapporto c’è tra il punto 1 e il punto 2. Potrebbero essere indipendenti. Il fatto che si scoprano creature intelligenti marine e che il mare si innalzi non hanno alcuna realzione. La 2 potrebbe dipendere dalla 1. Avvengono dei cambiamenti climatici quindi si scoprono delle creature marine. E mi pare anche logico, se fin’ora ‘ste benedette creature non si sono mai viste, o non sono state riconosciute per quello che sono (anche questa è una possibilità), ci deve pur essere un agente scatenante. Perchè proprio adesso? Il fatto che il mare ti arrivi alla gola potrebbe essere il motivo. Magari le Mariannine, piccole aragoste pelagiche che prima se la scialavano col naso giù nella fossa delle marianne a mangiarsi carcasse di balene, sono risalite incoraggiate dall’innalzamento del mare e hanno scoperto la superficie intrappolate nelle reti dei giapponesi e hanno inventato un batiscafo per resistere alle basse pressioni e fanno spedizioni in acque basse a pescare le magre ma succose salsicce a due gambe con lenze lunghe duecento metri fin sulla riva delle spiagge.

Oppure la 2 potrebbe essere la causa della 1. Questa è la soluzione più interessante e difficile, quella su cui si può basare il racconto. Sono state proprio le creature a modificare il clima! Le bastardelle, e noi che ci facevamo tanti problemi con l’effetto serra. A che scopo lo hanno fatto? Boh, magari le sirene delle profondità che ritornano la notte scaltre sulle coste a cacciare, col volto dipinto, armate di arpione, hanno bisogno di nuovi territori di caccia da spartire fra i clan e modificano le correnti marine per sciogliere i ghiacci. Se ne fregano degli umani, ma gli umani gli dichiarano guerra, visto che non sono tanto contenti di vedersi sparire la terra da sotto i piedi! Oppure una specie di polpo, avendo spiato gli esperimenti dei francesi nella polinesia francese con le bombe H e avendo preso le bombe per merdavigliosi fuochi artificiali, ne hanno costruite a loro volta ed è partita la moda di farne esplodere una a ogni nuova schiusa di covata. Così ecco arrivare dei gran tsunami e l’innalzamento della temperatura dell’acqua.

Che sia solo lo stadio giovanile di una creatura intelligente? Buona fortuna con le chele.

Altro punto su cui si deve lavorare: le creature. La mia immaginazione ha per ora trovato quattro possibili strade da percorrere. Quale scegliere dipende un po’ dai gusti, un po’ da eventuali incompatibilità con altri punti fermi già decisi e un po’ dalle proprie conoscenze. Io per esempio ne so molto poco di creature leggenderie/mitologiche, ho una vaghissima idea di cosa sia una rusalke ad esempio e, pur sapendo cos’è un kraken (da non confondere col krapfen) non ho letto niente di quel che è stato scritto su di loro; però ho un’ottima conoscenza di biologia marina, conosco la storia della riproduzione delle anguille e so dove cercare il maschio di bonellia.

Una delle cose che si può fare è prendere a prestito dalla mitologia e dalle leggende marine. Qui il gioco è facile, ma per non scrivere sempre la stessa storia bisogna inventarsi un elemento di diversità. Tipo un kraken che salva i bagnanti in difficoltà o sirene decimate dalla sifilide a cui vengono lanciate casse di penicillina dai pescatori. Il mostro marino che divora e la sirenetta che incanta impongono di puntare su nient’altro che i personaggi e lo stile.

Altra cosa che si può fare è prendere spunto dalla realtà. Prendere una creatura marina e inventarle un parente mangia-uomini. Basta non prendere i soliti noti. Vietati i calamari! Niente squali. I delfini sembrerebbero sirene senza tette. Bisognerebbe scegliere qualcosa di “strano”, chessò, dei coralli. Le madrepore del pacifico hanno un lampo di genio e muovono alla conquista della terra ferma, il corallo rosso del mediterraneo non era altro che le corna del diavolo. Oppure una vongola superintelligente risale i fuimi, le fogne, i canali d’irrigazione e ostruisce ogni cosa attaccandosi il metallo degli scafi delle navi e delle tubazioni dell’acqua potabile alla ricerca del paradiso delle vongole, che nei testo sacro tramandato dal Grande Vongolone si dice sia raggiungibile solo ancorando il bisso nello specchio d’acqua più alto del mondo. Ah, me n’è venuta in mente un’altra… carina questa…

Oppure si può prendere spunto dal fantasy terricolo. Un lupo mannaro? Un pesce lupo mannaro?

Pesci lupo, Anarhichas lupus. Non molto rassicuranti. E se fossero anche mannari?

Zombie, vampiri… non mi attira molto questa possibilità, ma è una questione di gusti. Potrebbe essere una buona occasione per creare qualcosa di veramente strano.

Oppure si potrebbe scavare nella tecnologia, con computer e robot. Anche quest’idea non mi ispira, più che altro non mi trovo a mio agio con certe amenità ingenieristiche. Però è un’ottima occasione per accoppiare la natura delle creature con l’anima punk del concorso.

Altra cosa da decidere è qual’è la situazione mondiale.  Questo implica decidere se le creature sono cattive o buone (e in questo caso bisogna scegliersi un antagonista), se la storia racconterà la scoperta di queste creature o inizierà in medis res. Decidere se la crisi è locale, solo in Mediterraneo per esempio, o globale o se non si sa… ah, m’è venuta in mente un’idea interessante, a proposito di in medias res… questa non ve la dico, non si sa mai. E poi, le creature chi colpiscono e come? Trasformano il mare in una pappetta liquamosa? Sono divoratori di cervelli? Straziano la carne per estrarre i polmoni e usarli come trofei? Meglio dare un taglio spionaggesco o horror? Comico? Stile armata Brancaleone?

Posto che l’ambientazione abbia un retrogusto di vapore e fuliggine, l’ambientazione è un altro punto importante. In una bagnoarola in mezzo al mare? Nella tundra russa a 1000 chilometri dal mare? In un bunker del Supercomandosegreto?

Tutti i pezzi devono incastrarsi insieme. E con questi ci devono essere i personaggi e la trama, anche se trattandosi di un racconto la gestione della trama non ha problemi dimensionali. Il fatto che l’argomento del concorso sia “semplice” apre la possibilità a mille soluzioni. Strano a dirsi, ma gallina sparata verso Proxima Centauri sarebbe un problema più facile da risolvere perchè ci sarebbero meno caselle da riempire.

Quest’estate sotto l’ombrellone volete mantenere la mente agile? Lasciate stare quella noia del sudoku e scrivete una storia epartecipate al concorso.